LA FILOSOFIA DEL JEET KUNE DO



Gli appassionati e i conoscitori di Bruce Lee sanno che quando egli giunse in America, all'età di 18 anni, si iscrisse alla Facoltà di filosofia dell'università dello Stato di Washington, a Seattle, frequentandola dal 1961 al 1964.
Per Lee la filosofia, nella giusta ottica orientale (così come in effetti dovrebbe essere), era qualcosa da vivere e applicare quotidianamente, in ogni momento, non solo nelle arti marziali. Ne conseguiva che ogni sua azione era il risultato di una scelta filosofica e viceversa. Bruce era solito riferirsi al noto proverbio zen: «E' come un dito che punta la luna. Il saggio la indica, lo stolto guarda il dito» (vedi foto). Ovvero il dito può solo indicarci la luna ma non mostrarcela davvero per quello che è. Nella filosofia orientale il dito, così come il pensare o il ragionare, sono soltanto schemi per indicare la Via (Tao), ma per comprenderla davvero occorre praticarlaovvero sentirla. Perciò, Lee soleva aggiungere: «Se vuoi imparare cosa vuol dire nuotare, devi buttarti in acqua». E ancora: «La via maestra è l’azione».[…] “Le arti marziali cinesi erano in origine metodi sintetici di formazione, in cui tecniche per l’educazione, il benessere e la lotta, ma anche principi filosofici e spirituali, venivano trasmessi attraverso la pratica e non attraverso il pensiero astratto (via ancor oggi preponderante nella filosofia occidentale)”. “Praticare per automatizzare, provare per conoscere e per scoprire se stessi”: questo era il senso dell’antico pragmatismo orientale. A tutto questo Bruce Lee aggiunse, con mentalità americanizzata, la ricerca di una maggiore scientificità delle arti marziali in senso moderno e occidentale.
Se gli americani si stavano aprendo alla cultura orientale, Lee era un orientale che, formatosi sui classici cinesi (Confucio e Lao-tze), integrava questo suo background con la filosofia occidentale, studiando, approfondendo e riflettendo su questi nuovi autori (come si evince dai suoi appunti personali). Egli giunse in America in un momento storico particolare: gli anni ’60, con l’esplosione della new-age, ovvero dell’incontro in USA tra cultura orientale e occidentale, tra filosofia olistica e scienza. Le sue letture, dunque, spaziavano tra autori d’Oriente e d’Occidente, molti dei quali, ormai, confrontavano le proprie teorie e collaboravano tra loro (pensiamo al connubio tra il fisico Bohm ed il filosofo Krhisnamurti), tenendo, su questi nuovi temi, diversi seminari negli atenei. Tra gli appunti e le riflessioni di Bruce Lee troviamo, infatti, riferimenti ai succitati classici orientali ed a quelli occidentali antichi e moderni, come Socrate, Platone, Cartesio, Kant, “Einstein, Plank, Witehead, Jeans”, Bergson, Siu, Khrisnamurti, etc.. Bruce Lee leggeva anche molti libri sulla psicologia dell’autorealizzazione, del pensiero positivo e del potenziamento di mente e volontà (discipline nate proprio dalla fusione tra la psicologia americana e la meditazione orientale).
Si dice che avesse una biblioteca personale con oltre 10.000 volumi, di filosofia, psicologia, sport e arti marziali.
Figlio di attori dell’Opera Cantonese e fan di James Dean, Bruce Lee era un cultore del cinema americano e dei film sull’Oriente e sulle arti marziali (di cui, da subito, egli criticò la fantasticheria delle tecniche, che, per primo, eliminerà all’interno dei suoi film). Erano queste, dunque, le tendenze culturali e le discipline che la new-age stava lanciando. Lee, con la sua genialità fisica e intellettuale, carpì e sintetizzò tutto ciò e lo applicò nel suo settore specifico, le arti marziali, dando vita ad una vera rivoluzione, nella teoria, nelle tecniche di lotta, di allenamento e nel cinema.
La scienza (fisica e biologia) e la psicologia occidentali cominciavano dunque a confrontarsi con le teorie filosofiche, cosmologiche e mediche dell’Oriente (specie la medicina cinese) e con le tecniche di meditazione. L’ipnosi e il training autogeno, ad esempio, metodi ormai utilizzati dagli sportivi olimpionici quanto dai reparti speciali, si svilupparono maggiormente proprio lì, in quegli anni. Bruce Lee, in effetti, come ci ricorda Ed Parker “aveva imparato a sviluppare una forza interiore creata dalla precisa sincronizzazione di conscio e subconscio, oltre ad aver affinato una potenza e una respirazione personali” (chiari riferimenti ad una impostazione ibrida tra psicologia occidentale e meditazione orientale – Chan o Zen).Il Jun Fan Jeet Kune Do (JF-JKD) […] è la via della sintesi delle arti marziali, creata da Bruce Lee (nome cinese Lee Jun Fan) nella seconda metà degli anni ’60. E’ stato il passaggio ad un kung-fu più scientifico, ad una nuova arte che fondeva la filosofia taoista con la fisiologia e la fisica meccanica, la meditazione con la psicologia olistica. In quest’ultima, le vie della spiritualità orientale per raggiungere l’Io cosmico cominciavano ad essere utilizzate, occidentalmente, per il raggiungimento dell’Io individuale (oggi, in chiave olistica, parliamo di Io relazionale, dando in qualche modo ragione all’Oriente). Ma Bruce Lee, nel pieno spirito americano dei suoi tempi, scriveva: “La cosa più importante è l’autorealizzazione, e il mio messaggio personale alla gente è questo: spero che tutti riescano a realizzare se stessi, non un immagine di sé. Spero che cerchino dentro se stessi il modo più onesto per esprimersi”. “Il JKD è un passo verso la conquista dell’autoconoscenza”.
“L’olismo originario delle arti orientali era esattamente questo: la ricerca della propria libera espressione all’interno di alcuni schemi fissi determinati dalla fisiologia della natura”. E Bruce Lee aveva compreso a fondo l’olismo, attraverso il taoismo e il suo sviluppo scientifico che stava iniziando in America in quegli anni (e che ancor oggi, come dicevamo, sta proseguendo). In Bruce Lee, quindi, si sono fusi appieno lo spirito orientale e quello occidentale. Il suo JKD è stato lafondazione della ricerca di una scienza olistica applicata alle arti marziali, in cui, appunto, la tradizione meditativa, filosofica e marziale taoista e in parte buddista (qi-gongtai-chi e wing-chun) si è fusa con la psicologia, la fisica, la fisiologia e la tecnica delle scienze e degli sport occidentali (pugilato e scherma in particolare), nonché con le scienze dell’alimentazione e dell’allenamento (egli fu uno dei primi maestri ad introdurle nelle antiche arti marziali).
Bruce Lee è stato dunque “un genio olistico delle arti marziali” (potremmo dire parafrasando Einstein), un uomo cioè spinto e guidato da grande spiritualità, fisicità e intuito, nonché da ideali e principi molto profondi. Principi ed ideali che lo hanno portato a lottare ed a vincere anche contro il razzismo in ambito cinematografico.
[…] Bruce Lee, ai suoi tempi, era considerato, dalle vecchie scuole orientali di arti marziali, un “traditore delle tradizioni”, poiché aveva insegnato il kung-fu a gente di altre razze e lo aveva ibridato con le discipline e le filosofie occidentali (… ovvero, oggi diremmo, perché aveva fatto della sua vita un vero e concreto esempio di antirazzismo eintercultura). Il regime di Mao Zedong (un tempo trascritto come Mao Tse-tung), aveva bandito i suoi film, mettendoli all’indice come “sottocultura di evasione”. Il popolo cinese, invece, sin da subito, lo aveva considerato un eroe. Questo perché, in un’epoca in cui i Cinesi erano ancora razzialmente discriminati da Inglesi, Giapponesi e Americani, e relegati a lavori umili e rischiosi; in tempi in cui il teatro, la tv e il cinema americani ridicolizzavano i personaggi cinesi o li affidavano “a bianchi col volto tinto di giallo”, Bruce Lee è stato il primo cinese a portare in tv le arti marziali della sua Terra, a lanciare il genere a mani nude e, soprattutto, ad interpretare ruoli da vincente e da protagonista.
Nella vita e nel cinema, Lee rivendicò costantemente la forza, l’orgoglio e le millenarie ricchezze della cultura cinese, criticando peraltro la chiusura stessa dei Cinesi verso gli altri popoli, ovvero il loro “non voler mostrare al mondo la bellezza delle proprie arti e tradizioni”, come soleva spesso dire. “Vi sono cose che vanno celate per essere protetti, altre che vanno mostrate per essere compresi”, Bruce Lee ne era convinto. Se le arti marziali, come tutte le vie iniziatiche, sono divise in livelli, non svelarne i livelli più profondi non vuol dire non mostrarle affatto, sia agli stranieri che ai cinesi stessi: per Lee non era una questione di razze. Egli, pertanto, aprì al mondo una parte delle tradizioni cinesi.
Nella lotta al razzismo, dunque, Lee ha rappresentato per i cinesi ciò che Mohammed Alì ha rappresentato per i neri.
[…] “Nel 2005, per il suo 65° compleanno (27 novembre), in una piazza di Mostar (Bosnia Erzegovina), il giorno 28, un giorno prima che ad Hong Kong, è stata inaugurata una sua statua di dimensioni naturali, come simbolo internazionale di lotta al razzismo. Ad Hong Kong, invece, la sua statua si erge sul mare come tributo ad un eroe nazionale”, che conferma in qualche modo il destino al quale lo aveva legato il suo nome cinese, Jun Fan, che tradotto significa “colui che apporta sviluppo alla propria Terra”.
“Dopo il maoismo e la globalizzazione, che ha aggredito dappertutto le differenze e le tradizioni in nome del consumismo, la Cina vuole recuperare (… pur non abbandonando del tutto l’ottica consumistica) le sue tradizioni confuciane e popolari. E lo fa oggi investendo proprio su Bruce Lee (e sul kung-fu come sport nazionale). Con un episodio a settimana, sino all’inizio delle olimpiadi di Pechino 2008, la tv di stato cinese proietterà 40 puntate di un telefilm sulla sua vita, interpretate da Chen Guokun, una giovane star del cinema cinese”.
Bruce Lee, meritevole certamente di una laurea honoris causa in filosofia, visse la sua vita all’insegna della ricerca di sé, degli ideali e della spiritualità, come si evince dalle battaglie che ha combattuto e dalle parole di chi lo ha conosciuto: “Insegnava filosofia e cercava di diffondere la conoscenza e la saggezza” (Kareem Abdul-Jabbar). “Non separò mai la sua vita personale dallo spirito di ricerca… L’integrità con la quale Bruce Lee visse la sua vita, cercando di diffondere ciò che riteneva giusto, è un chiaro esempio di come tale compito debba essere attuato” (James Coburn). Lasciamo, infine, che siano le sue stesse parole a concludere:
L’istanza che governa la nostra esistenza è senza dubbio lo spirito”.
Un insegnante non è mai un dispensatore di verità: è una guida per quella verità che ognuno deve scoprire da solo”.
Quando l’uomo perverrà all’indispensabile realizzazione cosciente delle grandi forze spirituali che ha dentro di sé, e comincerà a usare queste ultime nella scienza, nel lavoro e nella vita, i suoi progressi in futuro non avranno eguali”.
“[…] La vittoria è strettamente legata agli ideali del praticante”».
«[…] Non pensare! Senti! E’ come un dito puntato alla luna. Non concentrarti sul dito…
altrimenti ti sfuggirà la meraviglia celeste. Capisci?» (Bruce Lee – I Tre dell’Operazione Drago, 1973)
Questa era la radice della filosofia di Bruce; la sua natura era quella di un instancabile e profondo ricercatore del senso della vita in tutti i suoi aspetti, un uomo saggio e d’azione, per il quale filosofia e pratica erano parti inscindibili. Grazie ad un profondo senso di giustizia ed una forza di volontà più unica che rara, egli riusciva a vivere in funzione di come pensava. Questa è una prerogativa di pochissimi individui al mondo, è l'aspetto fondamentale che lo differenzia dalla maggior parte degli artisti marziali e degli uomini in genere. E' la caratteristica tipica dei pionieri, cioè di coloro che riescono a tracciare con intuito, costanza e sacrificio, nuove strade lì dove altri non sono in grado di vederne.
«[…] L’olismo trova nel taoismo e nella MTC (filosofia e medicina cinesi) le sue matrici più antiche e anche le più rivalutate scientificamente, a partire dagli anni ’50. Rispetto al buddismo, che nel 520 d.C. giunse dall’India e prese piede in Cina e nelle sue arti marziali (pensiamo al kung-fu di Shaolìn), il taoismo è rimasto radicato nella Cina del sud, dove Bruce Lee visse la sua giovinezza, e nelle arti marziali di quei luoghi, come il wing-tsun, che egli praticò dai 12 ai 18 anni.
Quando Lee giunse a Seattle “la cultura americana era influenzata dal pragmatismo asiatico e viceversa”. Il pragmatismo è una filosofia che invita all’azione e alla praticità. “Per imparare a nuotare devi buttarti in acqua”, è una frase di Bergson che Bruce Lee ripeteva spesso e che rende a pieno il senso del suo pragmatismo, così come: “La strada maestra è l’azione”. Il pensiero di Lee è dunque il chiaro risultato del pragmatismo cinese che si fondeva con quello americano, divenendo sempre più moderno e scientifico.
“Il JF-JKD non era solo un insieme di concetti (Concept) o solamente di tecniche immutabili (Original), ma, nel giusto spirito pragmatico delle arti orientali e del pensiero americano, voleva essere un insieme di concetti filosofici messi in atto all’interno di tecniche specifiche, scientifiche, essenziali ed “originali”, ovvero tecniche nelle quali ognuno doveva trovare la propria originale espressione, la propria via (Tao) di efficaciaefficienza e realizzazione personali”.



Tratto da: T. BresciaBruce Lee: da traditore a eroe di Stato – La filosofia e l’etica del Jun Fan Jeet Kune Do,Enertao, anno XV, Milano, luglio/settembre 2007, pp. 8-13.